Ex atleta, allenatore, ricercatore, professore e padre. Luca Puce è uno dei segreti del successo internazionale di Francesco Bocciardo, stabilmente in vetta nel nuoto paralimpico mondiale. Oggi, archiviata da tempo la carriera di nuotatore, veste il doppio ruolo di allenatore e ricercatore occupandosi a 360 gradi della preparazione fisica del campione genovese. Ai microfoni di SportAbility Liguria ha ripercorso le tappe di un rapporto che ha condotto ad una serie incredibile di successi, soffermandosi anche sull’importanza dello sport paralimpico.
Lo sport e il nuoto sono sempre stati fondamentali per Luca e proprio in momento di cambiamento sportivo è arrivato l’incontro con Francesco Bocciardo:
“Io nasco come nuotatore, un ex atleta, infatti fino a 22-23 anni ho nuotato come professionista in varie società d’Italia. Ho ancora qualche record regionale assoluto e sono andato in nazionale, poi a 23 anni ho deciso di smettere veramente Non ce la facevo più a livello psicofisico, ho iniziato a fare allenamenti di quattro o cinque ore al giorno quando avevo 14-15 anni. Stava diventando per me un problema proseguire tutto. Volevo incominciare a studiare e a dedicarmi all’Università, a raggiungere la Laurea e poi successivamente al lavoro. Ho smesso di nuotare in modo agonistico ma ho continuato a farlo per il mio benessere psicofisico. Proprio in quel periodo ho conosciuto Francesco all’Istituto Champagnat. Mi spiegava, un sacco di anni fa, io seguo Francesco da una decina di anni, che era un periodo un po’ particolare, non sapeva cosa fare e non riusciva a trovare spazio in piscina per allenarsi, ad avere una squadra che lo sopportasse, sia fisicamente, sia psicologicamente. Discutevamo se potessi fare qualcosa per lui. Ci ho pensato e, poco dopo, gli ho semplicemente detto di farsi allenare da me. Non avevo esperienza da allenatore però avevo nuotato per tanti anni. Abbiamo cominciato ad allenarci, successivamente sono subentrate altre persone come Sciaccaluga e altri atleti che hanno fatto anche dei buoni risultati. Abbiamo, insomma, cominciato a intraprendere un percorso. All’inizio non è stato facile, io pensavo che allenare un atleta paralimpico fosse più o meno simile ad allenare un normodotato, ma non è affatto così. Il problema era la patologia di Francesco, o quella dei vari atleti paralimpici, che va a condizionare le performance fisiche e psicologiche dell’allenamento. All’inizio è stato molto difficile ci siamo dovuti capire reciprocamente per cercare l’approccio giusto, dopo un anno e qualcosa abbiamo ingranato e le risposte, i risultati sono arrivati. Ci siamo presentati ad un Campionato Europeo Eindhoven dove abbiamo raggiunto il quarto posto. L’anno dopo a Glasgow abbiamo vinto il mondiale. Da lì siamo riusciti a realizzare un sacco di successi. La problematica iniziale è stata quella di interagire con lui e di interagire con la sua patologia. Io ho la fortuna di aver fatto un percorso di studi che mi ha permesso anche di relazionarmi al meglio con la sua patologia e con tutte le sue risposte fisiche e psicologiche. Ho fatto un dottorato in neuroscienze, e in questo dottorato ero all’interno di un team che studiava proprio la patologia di Francesco. Quindi ho cercato di essere una sorta di anello di congiunzione tra la parte medico-scientifica, che comunque studiavo durante il dottorato e che cercavo di trasferirli al mio ruolo di allenatore, e la parte sportiva. Questo ci ha agevolato tantissimo perché accelerato la comprensione di tutti gli aspetti incentrati sulla patologia di Francesca. In apertura, nonostante l’esaltazione e la tanta voglia, pensavo che la semplice esperienza da nuotatore mi avrebbe permesso di aiutarlo. Pensavo che tutto fosse semplice invece non lo è stato assolutamente. Le cose si sono poi semplificate perché abbiamo studiato insieme e con le nuove conoscenze acquisite l’ho potuto supportare. I successi sono arrivati, siamo riusciti a realizzare tutto quello che c’eravamo finalizzati di fare. Adesso ci siamo detti che tutto quello che arriverà, successi o sconfitte che arriveranno, non ci toccheranno perché saranno qualcosa in più rispetto a quello che ci eravamo preposti all’inizio. Il modo di allenarci, il modo di relazionarci adesso è completamente diverso rispetto a prima. Se prima c’era una tensione sportiva e un’attività molto forte, finalizzando la preparazione a vincere la medaglia, ora il rapporto tra me e lui è un rapporto molto più amichevole, un rapporto più distensivo, un po’ meno da allenatore atleta ma più amico atleta, fratello maggiore fratello minore. Ci siamo resi conto di tutto quello che abbiamo fatto. Tutto quello che arriverà sarà oro colato. Ora ci sono delle problematiche diverse, io sono sempre più impegnato per il mio lavoro, per la mia professione e lui anche. È sempre più impegnato per la sua professione. Certo è un atleta paralimpico me è soprattutto una persona che lavora. Quindi anche lui ha i suoi impegni, che sono un po’ cambiarti. È fidanzato, convive, avrà le sue idee e sui progetti sulla famiglia. Le cose stanno cambiando ed è giusto che lui incominci ad approcciarsi diversamente al nuoto, da vedere come un qualcosa che potrà dare risultati importanti ed altre soddisfazioni ma non più la sua priorità assoluta come in passato”.
A livello tecnico l’inizio della carriera da nuotatore di Francesco non fu semplice, ma, anche grazie agli studi dell’allenatore, le cose sono poco dopo cambiate:
“Mi sono trovato con una persona che all’inizio era da correggere tecnicamente, essendo molto scoordinato. Ovviamente per la sua patologia aveva un assetto in acqua non buono. Il primo approccio è la prima cosa su cui abbiamo lavorato. Migliorata la tecnica, si è passati all’interpretazione della gara. Lui è un mezzofondista, quindi faceva e fa le gare abbastanza lunghe. All’inizio non sapeva interpretare la gara, partiva molto molto forte e poi peggiorava nella seconda parte di gara. Nel finale di gara peggiorava tantissimo la sua prestazione rispetto alla partenza. Serviva gestire al meglio la distanza della gara. Per gestire al meglio intendo velocità regolare e poi piano piano incrementare l’intensità. Il suo problema nasce dalla sua patologia. Abbiamo scoperto, tramite studi scientifici, che produce alti livelli di lattato. Se lui parte troppo forte durante la gara utilizza il sistema anaerobico lattato in modo molto massiccio, quindi tende ad accumulare subito molto lattato. Alti livelli di lattato vanno a influire tantissimo sulle risposte patologiche. Partendo molto forte aumenta tantissimo il livello di lattato, peggiorando tantissimo la situazione e il dolore alle gambe. In questo modo si danneggia quindi la tecnica di nuotata e la prestazione. Dunque semplicemente migliorando l’interpretazione della distanza, partendo molto più lento e sfruttando molto la capacità aerobica di Francesco, siamo riusciti a diminuire gli effetti patologici, o meglio a ritardarli, in modo tale da riuscire a migliorare tutti i 400 metri della gara”.
Lo sport per le persone con disabilità ha un valore assoluto fondamentale ma il tecnico ha evidenziato come lo sport paralimpico debba essere considerato singolarmente per i maggiori benefici prodotti:
“Sicuramente gli effetti dell’attività fisica sulle persone disabili, come tutti sanno, sono effetti super positivi. La letteratura scientifica, infatti, è piena di spunti che confermano questi risultati. Io vorrei sottolineare e mi soffermerei sui benefici dell’attività paralimpica. L’attività fisica fatto in modo ludico o amatoriale, o anche con scopo fisioterapico e di supporto, che la maggior parte delle persone disabili fanno, è ben diversa dallo sport agonistico. Secondo me è sbagliato non differenziare Sport amatoriale o fisioterapico e Sport paralimpico. Lo sport paralimpico è lo sport caratterizzato da atleti disabili che fanno gare regionali, nazionali o internazionali. Sono persone giornalmente impegnate in intensità di allenamento molto simili in termini di densità di quelle dei normodotati. Sono due realtà molto differenti. La prima realtà dello sport generale sappiamo tutti quanto faccia bene; la seconda parte, il secondo mondo, quello paralimpico, è un mondo ancora da scoprire, da sviluppare e, a mio avviso, aiuta ancora di più. Nello sport paralimpico la squadra e l’atleta interagiscono tantissimo con l’allenatore, con il team e, soprattutto, come dico spesso, hanno la possibilità di gareggiare con i propri pari cosa che è raro che avvenga in un contesto diverso dallo sport paralimpico. Gli atleti che gareggiano in relazione, non tanto al tipo di patologia, ma in relazione alle funzionalità. Lo sport paralimpico mette chi gareggia all’interno della categoria dei propri simili. Si ha, insomma, la massima equità. La competizione è super equa. Nella vita di tutti i giorni questa equità per il disabile non esiste, non è scontata questa possibilità. Nello sport paralimpico gli atleti riescono ad interagire con la squadra, con l’allenatore, con i rivali e riescono ad ampliare la loro quotidianità. Abbiamo fatto uno studio scientifico, anch’esso pubblicato, sui benefici psicofisici degli atleti paralimpici sempre nel nuoto. Un’indagine che ha coinvolto tutti gli atleti della Federazione Italiana Nuoto Paralimpico. Abbiamo proposto loro alcuni questionari e li stessi sono stati somministrati ad un gruppo di persone che non praticavano sport a livello agonistico. I risultati hanno confermato che lo sport paralimpico porta benefici in termini fisici, psicologici e su altre sfere, da quella emozionale a quella sociale.
Indiscutibile il ruolo del nuoto per Francesco:
Lo sport e il nuoto sono stato sono stati essenziali per Francesco, come sostanzialmente è stato essenziale per tutti gli atleti che ho allenato oltre a Francesco. Mi sono reso conto che i semplici protocolli di riabilitazione o lo sport ludico, fatto in modo blando, non può essere confrontabile con l’impegno paralimpico”.
Idee chiare per Luca Puce in merito al momento più bello vissuto da allenatore di Francesco Bocciardo:
“Quando ha fatto il salto di qualità. Il primo anno quando non riuscivamo a stilare programmi di allenamento idonei alla sua disabilità, i risultati non venivano, non eravamo tanto contenti. Dopo insieme a lui abbiamo deciso di cambiare e di fare altri tipi di allenamento, di provarci, di rischiare. Lì lui ha fatto il salto di qualità vincendo i mondiali a Glasgow per la prima volta. Questo è stato il momento più bello. Oltretutto ha vinto per un centesimo una gara stupenda da vedere. Ha fatto un testa a testa con un russo e ha vinto lui i 200 metri Stile Libero di un centesimo. Di pochissimo quindi, un’emozione enorme quella gara di Francesco. Da lì ha cominciato a vincere. Chiaramente è brutto dire che uno poi si abitua a vincere ma piano piano è stato così. Ha spesso vinto, ha sempre portato a casa il risultato, sono stati raggiunti tutti gli obiettivi che ci siamo prefissati. Quindi ovviamente le emozioni sono andate sempre a calare. Dopo quella metto la prima medaglia alle Paralimpiadi. Europei, Mondiali eccetera sono emozioni belle ma il fascino delle Paralimpiadi è diverso da tutte le altre competizioni. Non pensavo, a livello psicologico, di reagire così diversamente alle Olimpiadi. Lì si respira un’aria completamente diversa, vivi all’interno di un villaggio, sei per tanti giorni lì e riesci a fare un sacco di esperienze. Incontri tante persone, tanti atleti di tanti sport differenti. È un ambiente bellissimo dopo la prima vittoria di Glasgow, le Olimpiadi è la mia seconda emozione più grande”.
Sebbene le priorità di entrambi siano cambiate, gli obiettivi per il futuro non mancano. Mondiali già nel mirino:
“Le gare più vicine sono i mondiali di luglio che sono anche una tappa di passaggio per le prossime Paralimpiadi a Parigi, previste per il 2024. Stuzzica l’idea di continuare a nuotare fino a Parigi. Il desiderio è quello di vincere un’altra medaglia perché ovviamente se Francesco partecipa, lo fa come lui sa fare quindi per cercare di vincere. Ci sono tante incognite. Gli impegni agonistici non possono più essere al 100% come prima, perché ora entrambi abbiamo altre priorità di vita. Io sono molto impegnato in ospedale, come ricercato e come professore universitario, adesso ho avuto anche una figlia. Lui anche è molto impegnato. La situazione è questa, però tutti i giorni ci vediamo al mattino alle 7 per allenarci, per cercare di fare qualcosa nuovamente”.
La crescita del mondo paralimpico è sotto gli occhi di tutti e per essere competitivi servirà un’importante preparazione:
“Il mondo paralimpico è in continuo sviluppo. Se prima era un evento in secondo piano adesso è riconosciuto come terzo evento spettatori dopo Olimpiadi e Campionati del Mondo di calcio. Oltre al successo aumenta anche il livello. Non dico che prima, tanti anni fa, era facile vincere ma adesso il livello è veramente salito. Stiamo parlando di atleti di grandissimo livello che si allenano come qualsiasi normodotato. Hanno un supporto tecnico, medico come gli atleti normodotati, poi ci sono sponsor importanti. Andando avanti con gli anni noi ‘invecchiamo’ e per essere competitivi dobbiamo comunque combattere con persone sempre più brave. Ogni 4-5 anni c’è un cambio generazionale. Arrivare a Parigi vuol dire battere un cambio generazionale che chissà cosa nasconderà”.
Simone Fargnoli