Nicolò Pagliettini: “Lo sport abbatte le barriere. Io ho coronato il sogno di raccontarlo”

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Nicolò Pagliettini: “Lo sport abbatte le barriere. Io ho coronato il sogno di raccontarlo”

Sport, musica e determinazione. Sono questi alcuni fattori determinanti nella storia di Nicolò Pagliettini, tra le altre cose, presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Chiavari e Social Media Manager della Virtus Entella. Il classe ’93, ipovedente fin dalla nascita, racconta a SportAbility il suo impegno per gli altri e la sua passione trasformata con determinazione in lavoro.

Dal primo incontro, grazie alla madre, giovanissimo al ruolo di presidente. La dedizione di Nicolò per l’UICI di Chiavari:

“Nasce in maniera molto spontanea. Innanzitutto grazie ai miei genitori. Mia madre, quando io ero piccolino, ha cominciato ad avvicinarsi alla realtà dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Chiavari. Ha svolto l’attività di consigliera, ha sempre cercato di mettere la sua energia a disposizione delle persone con disabilità visiva, avendo un figlio ipovedente a carico, quindi io ho conosciuto questa realtà attraverso lei. Ricordo che ero bambino e andavo alle riunioni, lei è sempre stata molto attiva. In adolescenza, ci sono altre dinamiche, altre situazioni, altre priorità, come ovvio che sia. Poi un giorno, mentre stavo preparando la maturità, mi chiamò la presidentessa dell’epoca, Cristina, che mi chiese se avessi voglia di provare a diventare consigliere. Avevo poche idee di cosa comportasse quest’impegno. In quel momento stavo preparando la maturità. Però diciamo che se la mia intraprendenza avesse potuto essere d’aiuto alle altre persone ne sarei stato, già all’epoca, contento, così accettai la proposta senza farmi tante domande. Da lì iniziò, un po’ casualmente, la mia avventura. Ho fatto il mio apprendistato da consigliere e poi sono diventato presidente. Fondamentalmente ho un obiettivo, quello di cercare di mettere la mia quotidianità a disposizione delle persone con problematiche visive. Ho conosciuto una realtà variopinta, con tante persone di diverse età, con tante storie particolari. Oltre al confronto con gli altri, molto importante per me; ho cercato, e provo a farlo, nonostante gli impegni lavorativi, tutt’oggi, di essere, nel mio piccolo, un punto di riferimento per loro, tentando di combattere le battaglie che ci appartengono e per le quali ci spendiamo tutti i giorni per far valere i nostri diritti, e soprattutto per lanciare messaggi di positività. Io ho tante persone che entrano nel nostro ufficio pensando di non poter più fare niente. È normale, ci sta, chiaramente chi perde la vista dopo tanti anni vede cambiare completamente la propria esistenza. Questo però non deve succedere, noi dobbiamo essere lì a posta per cercare di dimostrare che, rimboccandosi le maniche e mettendosi in gioco, si può riuscire. Con la giusta predisposizione si può vivere una vita serena, fatta di risultati, soddisfazioni e traguardi da tagliare. Il mio obiettivo è sempre stato cercare di stimolare e motivare le persone con il mio stesso problema a vivere un’esistenza soddisfacente a seconda di quelli che sono gli obiettivi di ognuno di noi”.

Lo sport ha un valore fondamentale, su più livelli ed è importante anche per l’associazione:

“Lo sport secondo me ha una duplice valenza. La prima è una valenza di tipo sociale, perché chiaramente quando c’è lo sport, c’è aggregazione a tutti i livelli. Lo vedo anche a livello agonistico e poi scendendo di categoria è uguale. Come tale lo sport crea dei momenti che fanno stare bene le persone da un punto di vista sia mentale, sia fisico. L’altro punto è che lo sport ti regala passione. Io, che sono un grande amante dello sport, ho sempre visto in queste situazioni tanta normalità. Fare esperienze insieme, come la gita al golf, tutte quelle cose che lo sport, come uno spogliatoio, ci fa vivere. Esperienze di condivisione con altre persone che sono il sale veramente dell’abbattere determinati ostacoli. Lo sport, come dicevo prima, se si fa continuativamente crea un benessere mentale e fisico. Fortunatamente oggi ci sono tanti esempi di persone che, nonostante difficoltà visive, fanno sport a buon livello. Alti o bassi che siano i risultati comunque praticano sport. Questo è un messaggio importante di come uno sport sia in grado di abbattere barriere. C’è una frase, non mia, che viene detta in questi casi: la disabilità viene accentuata dal contesto in cui noi viviamo. Questo vale per lo sport, per il lavoro e per la vita quotidiana. Se noi siamo in un posto che è pieno di barriere architettoniche o che non è predisposto ad accogliere persone con caratteristiche differenti, allora la nostra disabilità diventa più grande di quella che è. Se siamo in un campo da golf senza ostacoli, senza barriere, in quel momento lì non esistono differenze. Esiste solo un modo differente di percepire ciò che si vede e ciò che ci circonda. Ovviamente la disabilità viene messa in un cassetto perché si può fare un’esperienza totalmente identica rispetto a quella fatta dalle persone che vedono”.

La situazione Covid-19 sta complicando la crescita e lo sviluppo di tanti progetti ma all’UICI Chiavari non si smette di lavorare:

“Abbiamo tanti di progetti. I primi sogni che ho esplicitato una volta diventato presidente, sui quali cerchiamo di lavorare con ambizione e con coscienza del periodo, sono legati a due rami differenti. Uno è il ramo lavorativo, cercare di formare, nel limite possibile, e di preparare i nostri ragazzi ad avere possibilità lavorative che siano lavori, tra virgolette, moderni o istituzionali, comunque cercare di impegnare anche quelle persone che magari hanno un’esistenza un po’ difficile perché hanno una disabilità oltre a quella visiva, quindi con famiglie con difficoltà nella gestione quotidiana. L’Unione deve essere un luogo di aggregazione, io l’ho sempre intesa come un bar. Indipendentemente dalle problematiche uno può venire a scambiare due chiacchere, a prendere un caffè.

La gioventù chiavarese e la promozione della prevenzione delle malattie visive:

“Fondamentalmente la caratteristica principale della nostra attività è che noi siamo una realtà molto giovane rispetto ad altre associazioni e ad altre sedi territoriali. Questo chiaramente ci ha consentito tanto entusiasmo, magari peccando di esperienza. Cerchiamo di fare tante attività aggreganti. Prima del Covid-19 abbiamo portato 70 persone sul nostro terrazzo per una grigliata, cose che fino a tanti anni fa sembravano utopistiche. Abbiamo organizzato gite e altri momenti di aggregazione. Quello è uno degli aspetti che, personalmente, mi piace di più. La gente non viene soltanto all’assemblea per votare il bilancio o a fare il rinnovo per le agevolazioni, ma viene perché ha la possibilità di incontrare gente con cui è amica, di scambiare opinioni, di darsi forza a vicenda, di confrontarsi, di fare due chiacchiere. Questa è la parte di associazione che preferisco. In tutto questo c’è un filone che è il mio sogno per il futuro. L’obiettivo utopistico sarebbe quello di chiudere per mancanza di iscritti, impossibile perché, purtroppo, persone con problemi di vista ce ne saranno sempre. Noi, dunque, cerchiamo di essere molto forti sul ramo della prevenzione. Cerchiamo di sensibilizzare chi un problema di vista non lo ha su quanto sia importante farsi controllare, voler bene ai propri occhi e alla propria vista, che è un bene prezioso. In quest’ottica noi avevamo cominciato, sempre prima del Covid, a fare anche investimenti importanti per quella che è la nostra realtà, comprando diversi macchinari che ci consentono, grazie a professionisti, di fare degli screening visivi che noi proponiamo ciclicamente e gratuitamente alle persone interessate. Questa attività è utile per cercare di prevenire malattie visive che, molto spesso, quando manifestano i primi sintomi sono già in uno stadio avanzato e si fa, a quel punto, fatica a curarle. Questa operazione cerchiamo di farla anche in luoghi che con la sanità possono c’entrare poco. Questa estate abbiamo sfruttato momenti culturali e di aggregazione. A volte ci trascuriamo e il messaggio è che bastano cinque minuti per cominciare a prendersi cura di se stessi. Questo screening non risolve tutte le cose ma può aiutare in base a ciò che emerge”.

A livello personale, Nicolò è riuscito a trasformare lo sport da passione e sogno a realtà e lavoro:

“Sono da sempre appassionatissimo di tutti gli sport, dal calcio al basket, passando per ciclismo e pallanuoto. Seguo tutto da quando sono bambino. Lo sport mi ha accompagnato in tutta la mia vita e mi ha fatto vivere giornate indimenticabili. Mi ha fatto provare tante emozioni. Crescendo ho sempre avuto questo sogno. Inizialmente chiuso a chiave in un cassetto. Poi, piano piano, giorno dopo giorno, ho preso coraggio e ho provato ad aprirlo. Questo sogno era quello di provare a raccontare lo sport, nonostante veda lo sport a modo mio. Sicuramente non è come lo vede una persona che vede dieci decimi. In questo percorso ho conosciuto tante persone che hanno provato a darmi fiducia e a darmi la possibilità di raccontare lo sport. Io, che lo facevo quando ero bambino giocando a fare le radiocronache sportive, ho cominciato così, partendo da questa mia grande passione, cercando di farla diventare qualcosa di più. La prima volta che ho raccontato di sport ero alle scuole medie. Facevo un programma che si chiamava “Rinfresco alla tappa”. Avevo dodici anni e ricordo che quando finiva una tappa del Giro d’Italia, mi chiamavano e io la raccontavo. Quello è stato il mio primo passo, un passo che mi ha divertito e, allo stesso tempo, fatto credere che, anche se lo sport lo vedevo a modo mio, il mio racconto piaceva anche agli altri”.

Da tre anni il sogno ha preso ancora più forma grazie l’opportunità che è offerta dall’Entella a Nicolò, entrato nel quadro dirigenziale della società chiavarese:

“Io dell’Entella nasco principalmente tifoso. È la squadra della mia città. Da appassionato di calcio quando ero in adolescenza, a tredici, quattordici anni ho coronato il sogno che secondo me è un privilegio che bisognerebbe custodire: quello di andare a fare il tifo per la squadra della mia città. Uscivo di casa e a piedi andavo a vedere l’Entella. Andavo a vederla in Eccellenza, in Serie D, in C2, in C1 e, infine, in Serie B. Un’altra mia grande passione è la musica e  in quel periodo, quello del liceo, andavo ospite in un programma di Telepace, Sport Tigullio, per cantare. Tra una notizia di sport e l’altra c’ero io che facevo un intermezzo musicale per intrattenere il pubblico. Visto che in quegli anni l’Entella stava incominciando la sua scalata, e io dei biancocelesti ero grande tifoso, il presentatore di questa trasmissione un giorno, dopo aver cantato una canzone di Massimo Ranieri, mi disse oggi eri allo stadio, raccontaci come è andata la partita dell’Entella. Io, senza tanti giri di parole, ho cominciato a raccontare la sfida. È stato il mio primo resoconto televisivo. Da lì ho cominciato a farlo ogni settimana, poi ho iniziato a fare servizi per la tv dallo stadio, ho collaborato tanti anni con Michele Corti, con Radio 19, con Dilettantissimo. Ho fatto la classica gavetta seguendo l’Entella da inviato. Poi tre anni fa mi si è presentata questa opportunità. Adesso è il mio lavoro a tutti gli effetti ed è un lavoro che adoro”.

É biancoceleste uno dei ricordi più belli. Il 14 gennaio 2019 l’Entella fa visita alla Roma negli ottavi di finali di Coppa Italia, conquistati dopo l’incredibile e storica vittoria sul Genoa al Ferraris nel turno eliminatorio:

“Il ricordo più bello? Il primo anno in cui io ho lavorato per l’Entella da dipendente siamo andati a giocare all’Olimpico contro la Roma in Coppa Italia. Quella sera, entrare in quel tempio del calcio, sedermi in quella tribuna stampa e vedere la squadra entrare in campo con così tanta gente di Chiavari presente è stata un’emozione incredibile. Personalmente l’ho vissuta come un coronamento di tanti sforzi, di tanti anni, superando anche un po’ di diffidenza, perché ci sono stati spesso tanti pregiudizi che io ho percepito. Ci può stare che una persona pensi questo non vede come fa a raccontarti lo sport e a scrivere un articolo di sport. Fa parte del gioco. Io dal canto mio ho sempre accettato tutto e ho sempre avuto grande voglia di dimostrare che si potesse fare, che, con impegno e sacrificio, si potesse dire la propria. Entrare quella notte all’Olimpico e sedermi lì è stata una grande emozione. Forse una delle più belle”.

Simone Fargnoli 

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